Esiste un tipo di Marketing che cura il Cancro Aziendale?

Mi dispiace utilizzare un’immagine forte come quella di una malattia invalidante e che spesso ha decorso mortale per le persone, ma lo faccio per una giusta causa quindi spero che mi perdonerai per questo.

Non è un gioco di parole quando uso il termine “cancro” né una voluta esagerazione. Come purtroppo è possibile per le persone ammalarsi di questa terribile piaga, così è per le aziende e le attività professionali in genere.

Il cancro è una malattia subdola, che tranne in alcune forme particolarmente rare e aggressive ha un decorso molto lungo, debilitante e che finisce per sottrarre le forze al malato poco a poco fino a ridurlo a una bambola rotta… a un guscio vuoto.

Il problema di moltissime forme di cancro è che per un lungo periodo sono asintomatiche, nel senso che continui a svolgere la tua vita come niente fosse e non sei nemmeno consapevole di avere problemi.

Quando si trasforma invece in un problema perché cominci ad accorgerti dei sintomi, la malattia spesso è così già radicata nell’organismo che lo stato attuale della medicina non permette altro che cure che prolunghino di un po’ la vita allontanando di qualche mese o qualche anno nel migliore dei casi il decorso mortale.

Alcune persone si salvano grazie alle cure ma la mortalità rimane elevatissima, a meno che non si intervenga in tempo grazie agli screening di prevenzione per i quali si può agire con maggior efficacia nel contrastare gli effetti della malattia.

Per qualche strana coincidenza, il tasso di mortalità delle persone che si accorgono molto in ritardo di essere malate e magari hanno purtroppo anche contratto una forma maligna e aggressiva del cancro è decisamente molto simile al tasso di mortalità delle aziende.

In Italia il tasso di mortalità delle aziende si può riassumere in questa breve tabella:

  • il 50% chiude nei primi 2 anni;
  • l’ 80% chiude nei primi 5 anni;
  • il 96% chiude entro i 10 anni;
  • del rimanente 4%, il 95% non supera mai la condizione di micro-impresa (2.000.000€ di fatturato).

Esattamente come per le forme di cancro più aggressive per gli esseri umani, le aziende hanno un tasso di morienza del 96% a dieci anni dalla loro apertura.

Lo so, è pazzesco.

Questo significa che le aziende non si “ammalano” in corso d’opera. La totale maggioranza delle p.IVA nasce già con il cancro ed è destinata al fallimento totale e alla chiusura.

L’altro dato sconvolgente è come in Italia il 95% dei sopravvissuti alla mattanza dei tonni, soffra comunque per sempre di “nanismo”, cioè non riesca mai nemmeno a raggiungere la definizione di PMI (Piccola Media Impresa) ma rimanga nella condizione di micro-impresa, cioè non riesca mai a sfondare la soglia di fatturato dei 2 milioni di euro e dei dieci dipendenti.

Sicuramente questa non è una condizione idilliaca nella quale pensare di fare impresa e magari la mente viaggia immediatamente ad argomenti “caldi” come le tasse eccessive (che sono una vera piaga), l’eccessiva burocrazia (che rallenta e ingolfa moltissimi processi) e organi e forze di controllo che si sembrano trasformati in organi di vessazione per piccoli imprenditori e liberi professionisti.

E chi vedesse in queste cause la ragione del fallimento costante e inarginabile di moltissime imprese italiane avrebbe in parte ragione, ma non completamente.

Anzi, a dirla tutta si starebbe concentrando su veri e propri sintomi secondari o metastasi, che aggravano un quadro clinico ma solo quando stiamo parlando di un quadro clinico gravemente compromesso.

Ho controllato i dati nel mondo occidentale e in Paesi con tassazione, organi e burocrazia decisamente più favorevoli di quelli italiani e i dati di mortalità delle imprese non si discostano affatto da quelli italiani.

Noi abbiamo una tendenza più spiccata che altri popoli all’individualismo imprenditoriale quindi a “rimanere piccoli” e “tenere le cose in famiglia” ma la percentuale e le tempistiche di fallimenti imprenditoriali sono abbastanza uniformi in tutto il mondo.

Questo significa che esiste un quadro clinico delle imprese che è compromesso sin dalla nascita e ne impedisce prima la sopravvivenza e poi il corretto sviluppo. E sicuramente è qualcosa che sta attaccando la tua azienda dall’interno come un agente patogeno molto aggressivo e tu nemmeno lo sai e nemmeno te ne sei accorto.

Magari cominci a notare qualche sintomo ma lo ignori pensando che sia un “fastidio” congenito al fare impresa e invece non dovresti farlo. Affatto.

Vediamo quali sono i motivi per i quali la tua azienda contrae il cancro e qual è il modo corretto per uscire indenne e con le ossa intere, prima che siano il direttore di banca e poi il tribunale a farti accorgere del problema quando ormai è troppo tardi.

Se ti sta venendo in mente una frase del tipo: “Beh ma io ho il mio commercialista, se ci fossero problemi veri dovrebbe dirmelo lui no? Cosa lo pago a fare?”, sappi che il tuo commercialista ha ben altre cose da fare che comportarsi da direttore finanziario della tua azienda e nella maggioranza dei casi non ha nemmeno le competenze per fare quello che tu ti aspetti.

Il commercialista italiano da PMI è un fiscalista, non un analista finanziario. Detto semplicemente, il suo compito è quello di sbrogliarsi tra la burocrazia per gestire la parte fiscale del tuo business, non darti consigli lato finanziario.

Se ti aspetti questo da lui e contemporaneamente l’unica altra figura amministrativa in azienda è tua moglie o l’impiegata che tiene i rapporti con la banca, è piuttosto normale – purtroppo – che la tua azienda sia destinata a chiudere entro il decimo anno di attività.

Vediamo quindi come prevenire i possibili problemi che porteranno sicuramente la tua azienda a sviluppare il cancro e a morirne.

Il Focus nasce dall’analisi dei numeri della tua azienda

Tra qualche merito che mi riconosco, vi è quello di aver portato in Italia i corretti insegnamenti sul brand positioning secondo la scuola originale di Al Ries e averli adattati alla realtà italiana della micro e piccola impresa o addirittura alle attività come le libere professioni che prima di “Planet Frank” non si erano mai nemmeno sognate di approcciarsi al concetto di posizionamento di marca.

Il nucleo centrale di tutto il corpus didattico del Brand Positioning è il concetto di focus, dal quale nasce e si evolve tutto il resto. È non a caso il primo dei 5 punti cardine del posizionamento di marca ideato da Al Ries.

Il problema che un micro o piccolo imprenditore può incontrare quando si affaccia al concetto di focalizzazione, anche nel caso lo abbia compreso e accettato in toto, è che gli infiniti esempi usati da Al sono prevalentemente fatti per le aziende a livello mondiale, cioè big companies, grandi aziende spesso multinazionali.

Non che i concetti siano diversi, anzi, più un’azienda è piccola come vedremo tra un attimo, più ha bisogno di focalizzazione.

Quindi, chiarito che ogni singolo concetto di Al Ries è un distillato di verità puro al 100%, vi è da considerare che Al dà per scontato che nelle scelte di focalizzazione, chi prende le decisioni abbia a disposizione un CFO o direttore finanziario per poter prevedere l’effetto delle sue scelte nel breve, nel medio e nel lungo periodo.

Quindi ci troviamo in una situazione nella quale abbiamo aziende con conti economici e flussi di cassa sicuramente più importanti di quelli di una micro azienda o PMI italiana e con i conti e le proiezioni sorvegliate e supervisionate da un reparto finanziario molto attento (anche perché deve rispondere agli azionisti che rischiano anche di fargli causa se pensano che stia “ammazzando una gallina dalle uova d’oro”, oltre che licenziarlo ecc.).

Questo è anche uno dei motivi per i quali le grandi aziende facciano così fatica a focalizzarsi, perché spesso la focalizzazione viene percepita – erroneamente – come un rinunciare a fonti di potenziale guadagno, da persone che sono state addestrate all’università a aumentare l’estensione dei prodotti e servizi da un lato e tagliare costi dall’altro come unica strada per perseguire maggiori profitti.

Con manager formati in questa maniera da un lato e con azionisti che si aspettano che l’azienda venga gestita in questo modo dall’altro (+ prodotti – costi) è facile capire come solo un vero imprenditore o CEO nel pieno possesso delle sue facoltà e con una buona dose di coraggio possa fare quello che deve essere fatto.

Il problema della focalizzazione in Italia per una PMI o una micro-azienda, supponendo che l’imprenditore possegga non solo sufficiente intelligenza ma anche abbastanza coraggio per intraprendere quel cammino, si scontra con la totale mancanza di direzione finanziaria dell’azienda.

Detto in maniera più semplice, se la struttura amministrativa dell’azienda è composta da:

  • impiegata;
  • moglie che parla con le banche;
  • commercialista;

siamo in una condizione nella quale praticamente si naviga a vista, non esiste un controllo di gestione e quindi qualunque decisione di marketing venga presa, sarà presa su basi non solide.

Se non guardi il tabellone, non sai quanti punti stai facendo né quanti ne stia facendo la squadra avversaria. Ergo è impossibile cercare di capire esattamente quale strategia tu debba perseguire in quel determinato momento della partita.

Diciamo che hai compreso intellettualmente il concetto di focalizzazione e tu voglia provare ad applicarlo con il fai-da-te.

Se non conosci nulla dei numeri della tua azienda (ed è probabile che tu non conosca nulla se sei in quel 99% di possessori di partita IVA che si lamentano che il commercialista li chiama solo per pagare e soprattutto che ci sono sempre tanti soldi imprevisti da pagare) allora ci sono altissime probabilità che ti focalizzerai sulla cosa sbagliata.

Sul prodotto o sul servizio sbagliato.

Perché ti dico questo? Perché ne ho la certezza matematica avendo riscontrato infinite volte questo problema anche con i miei allievi dei percorsi avanzati.

Arrivano con un’azienda sbrindellata multi-servizio multi-prodotti che non può stare in piedi per ovvi motivi (o comunque arranca nel crescere e nel potersi sviluppare) e vorrebbero sapere da me su “cosa si dovrebbero focalizzare”.

Ora ti svelo un grande segreto e ti faccio una confessione che magari non ti piacerà: io sono molto bravo a insegnarti COME focalizzarti, ma su COSA tu debba focalizzarti io non posso saperlo. O meglio, non ne ho idea finché non mi mostri i conti.

E se hai i conti in mano, dovresti ordinarli in modo da avere un minimo di controllo di gestione che ti dia quello che si chiama “Margine di contribuzione per commessa“, che spiegato in maniera impropria è: “Quanto guadagni realmente da ogni prodotto o servizio che vendi”. Sarà improprio per un contafagioli con otto lauree, ma si capisce e per il momento va bene così.

Ovviamente il Margine di Contribuzione per Commessa non è l’unico parametro che serve per decidere della focalizzazione della tua azienda ma nei limiti di questo report è sicuramente quello dal quale partire per cominciare a farsi un’idea precisa e autonoma dello stato di salute della tua azienda quando parliamo di vendite.

I punti che ho creato come Metodo Merenda e che sono da tenere in considerazione per una perfetta focalizzazione sono sette.

In questo documento per ovvi motivi non riusciremo ad analizzarli tutti ma voglio darti comunque almeno i due fondamentali che ti metteranno avanti anni luce rispetto a tutti i tuoi concorrenti.

Ora, mi permetterai di farti notare come sia lapalissiano il fatto che dovendo focalizzare gli sforzi dei vari reparti della tua azienda, in particolare di quello produttivo in primis, non serva una bacchetta da rabdomante per decidere di orientarsi verso quel prodotto o servizio o quella linea di prodotti o servizi sui quali hai un margine di contribuzione più elevato. E questo è il primo punto.

Ora se tu stessi facendo una consulenza con me e mi chiedessi ingenuamente: “Frank su cosa dovrei focalizzarmi?”, la mia risposta immediata sarebbe: “Mi mostri i margini di contribuzione per commessa belli in ordine della tua azienda per cortesia?”.

A questo punto so già che nel 99,9% dei casi mi ritroverei davanti a una sorta di scena muta, un balbettare arrancante che farebbe seguire momenti di pesante imbarazzo che dovrei stemperare con una battuta.

E più avanti in questo articolo ti dimostrerò perché in realtà è piuttosto improbabile che senza focalizzazione tu sappia produrre realmente quei numeri. Ma andiamo un passo alla volta.

La rifaccio:

“L’imprenditore è un esperto di marketing che sa leggere il bilancio”.

Pare ovvio che se sei in contabilità semplificata, tu il bilancio non possa leggerlo nemmeno volendo.

Quindi se sei in contabilità semplificata perché il tuo commercialista ti ha detto che risparmi, chiedigli cortesemente se può passarti in contabilità ordinaria in modo che si possa fare quella cosa meravigliosa al secolo “controllo di gestione” della tua azienda, prima di saltare per aria.

E se ti fa storie o comincia a parlare in tecnichese del perché non ti serva una contabilità in ordine, cambia commercialista e fine se poi il commercialista all’italiana maniera è tuo fratello, tuo cugino o il tuo amicicio del cuore, questo è un problema).

Tornando a noi, se tu non mi mostri i numeri e quindi non possiamo parlare di marketing partendo dai numeri, non stiamo facendo né marketing né impresa. Stiamo solo facendo le cose a casaccio. Cose a casaccio che finiremo inevitabilmente per pagare carissime.

L’importanza fondamentale dell’indice più sottovalutato e ignorato di tutti

Ciò chiarito, se non sei in grado di leggere i numeri e prendere una decisione basata sui numeri, finirai per prendere una decisione basata sui “gusti”. Detto in termini più semplici è probabile che ti focalizzerai a fare e produrre quei prodotti o servizi che ti “piacciono” di più ma che magari non sono né particolarmente remunerativi, né sono particolarmente appetibili sul mercato rispetto alla concorrenza ecc.

Noi dobbiamo evitare che tu rimanga defocalizzato, certo. Perché la defocalizzazione porta al dispendio di inutili energie che solo incanalate nella giusta direzione possono portare all’aumento dei profitti.

Dobbiamo anche però evitare che tu ti focalizzi sulle cose sbagliate perché hai zero controllo gestionale dei numeri fondamentali legati al marketing.

Numeri che ti permetterebbero di essere un imprenditore capace di prendere le giuste decisioni senza improvvisare e senza notti insonni a guardare il soffitto con il mostro dell’ansia che ti siede sullo stomaco e ti guarda in faccia.

Il secondo indice che devi tenere in considerazione, dopo aver scremato la tua lista prodotti/servizi è quello che in gergo tecnico si chiama “Indice di Rotazione”.

Erroneamente si pensa spesso che l’indice di rotazione sia qualcosa che debba tenere in conto chi ha un’azienda con magazzino da gestire. Ma non è così.

L’indice di rotazione non ha a che fare con la logistica.

O meglio per carità sì, ma non va inteso solo come indice di rotazione del magazzino ma deve essere considerato a partire dal concetto di indice di rotazione del capitale.

Sì lo so, fanno schifo e danno noia anche a me tutti questi tecnicismi quindi la spiego in maniera impropria ma facile da capire e “sempre meglio di niente per partire”.

In pratica per scegliere “il cavallo” sul quale puntare lo devi selezionare non solo tra quelli che corrono più veloci (margine di contribuzione per commessa più ampio) ma anche considerando quante corse in un mese possono fare (indice di rotazione del capitale).

Detto fuori di metafora e in maniera spero ancora più chiara devo tenere in considerazione in ordine:

  • i prodotti/servizi che mi fanno guadagnare di più;
  • quei prodotti o servizi che sono più richiesti e contemporaneamente;
  • quei prodotti e servizi che riesco a creare/consegnare/installare più velocemente base tempo.

In questo modo fondo i miei due criteri fondamentali che sono margine di contribuzione e indice di rotazione. E rispetto ai miei concorrenti sono già un imprenditore con un quoziente intellettivo tipo Einstein quando si parla di “Esperto di marketing che prende decisioni guardando i numeri”.

Così non hai bisogno di un palloso laureato con MBA che viene a tirarti le supercazzole imparate all’università ma che in una piccola azienda non c’ha mai messo piede né devi farti venire voglia di uccidere il commercialista perché secondo te non ti sta aiutando abbastanza.

Fai il tuo dovere, un piccolo sforzo all’inizio per diventare padrone dei primi numeri e vedrai che non avrai bisogno di nessuno e sarai davvero autonomo e in grado di prendere le decisioni di marketing corrette per la tua azienda.

Ora permettimi di spiegarti perché non riesci a focalizzarti nella maniera più terra terra possibile e come risolvere definitivamente questo problema ma ci arriviamo tra un secondo dopo quello che sto per dirti.

Perché non riesci a focalizzarti anche se in teoria hai capito il concetto

Il corpo umano è un perfetto esempio di focalizzazione. Ogni cellula che lo compone infatti è iper specializzata. Fa una cosa e una cosa sola.

Le cellule del fegato, “fegatizzano”. Le cellule dei polmoni “polmonano”. Le cellule del cuore “cuorano” e così via.

Ogni organo e ogni apparato è composto da cellule iper focalizzate nello svolgere una funzione e una sola… e svolgerla al meglio.

Quando una cellula perde di focalizzazione, impazzisce letteralmente, comincia a fare “altro” e anche a replicarsi. È quella situazione che noi chiamiamo comunemente “sviluppare un cancro”.

Il cancro in un organo non è nient’altro che un gruppo di cellule che smette di fare quello che dovrebbe fare per comportarsi in maniera diversa dalla programmazione originale.

Ecco, è quasi certo che la tua azienda a un certo punto vada in sofferenza o nella migliore delle ipotesi non vada né avanti né indietro perché sviluppa il cancro e tu non sai il perché e nemmeno te ne accorgi.

Cerco di fartela il più semplice possibile. La tua azienda nasce con un potenziale composto da:

  1. le tue competenze;
  2. il tuo team;
  3. capitali.

Detto in maniera facile, la tua azienda non ha un potenziale infinito all’inizio per accettare qualunque cliente “basta che paghi” come sei solito fare quando parti (e anche dopo purtroppo perché scateni un inarrestabile buco nero vizioso).

Tu hai solo determinate competenze e un team che tutto sommato almeno agli inizi è ristretto. Inoltre magari è anche diviso in persone con più esperienza e altre meno ecc.

Non da ultimo i capitali che hai a disposizione sono tutto sommato limitati. Hai bisogno di far funzionare la cassa molto bene per poter coprire i costi, anticipare determinate spese e fare in modo che il fatturato si trasformi realmente in profitti prima e cassa disponibile (free cash flow) poi.

Fin qui non ci sarebbe nulla di strano SE (e dico se…) tu fossi così intelligente e preparato imprenditorialmente da focalizzarti sin dall’inizio e attirare solo clienti che hanno a che fare con le tue reali competenze e le possibilità di svolgimento del lavoro nei modi e nei tempi stabiliti grazie al tuo team in modo da avere un indice di rotazione capitale che ti tenga sempre l’azienda con cassa disponibile da poter reinvestire.

Il problema è che come abbiamo affrontato più volte, l’imprenditore italiano non è realmente un imprenditore. È un tecnico che si mette in proprio, esperto del prodotto ma non di marketing né in grado di guidare l’azienda leggendo i numeri.

Esattamente come il libero professionista, convinto che la sua preparazione tecnica, i suoi studi e la sua iscrizione ad un albo o a un ruolo siano le condizioni sufficienti per operare nel mercato odierno.

È un po’ come se a guidare un vascello invece del capitano ci fosse il falegname che l’ha costruito. Finché il mare è calmo magari la nave fa il suo quasi da sola, ma non appena arriva la burrasca si rischia di andare a picco e naufragare.

Essendo un tecnico, il novello imprenditore non ha nessuna formazione reale. Avvertendo che la cassa si brucia perché bisogna pagare le persone e l’affitto, si preoccupa di risolvere il problema nel modo più sbagliato possibile: pensando a generare fatturato.

Ora, il fatturato per un’azienda è l’indicatore meno importante di tutti. Anzi è estremamente pericoloso se non maneggiato con cura. Per estremizzare possiamo dire che la causa di tutti i mali delle PMI italiane, sia la ricerca di fatturato senza un piano dietro.

Qual è lo scopo di un’azienda? Generare profitti che si trasformino in cassa disponibile.

Qual è lo scopo del marketing? Generare i maggiori profitti possibili che si trasformino nella quantità maggiore possibile di cassa a disposizione.

Fare nuovi clienti è solo una delle sotto-funzioni del marketing e nemmeno la più importante in realtà. Anzi, pensare alla lead generation quando l’azienda è malata è come dar da mangiare a un tumore invece che cercare di asportarlo o farlo secco con le migliori cure disponibili.

In particolare generare fatturato acquisendo nuovi clienti è una sotto-funzione aziendale che dovrebbe essere sempre sotto controllo dell’imprenditore e dovrebbe essere attiva solo nel caso in cui si attirino clienti target, che paghino innanzitutto senza lasciare insoluti, che paghino quanto vogliamo, come vogliamo e che quindi portino fatturato sano all’azienda e non a quello malato.

Il fatturato sano si riconosce perché si trasforma prima in profitti e poi in flusso di cassa disponibile. Altrimenti è fatturato malato e quindi è letteralmente un tumore per l’azienda.

Permettimi di spiegarti come la tua azienda può aver sviluppato un tumore del quale ti devi liberare il più velocemente possibile.

Abbiamo detto che la tua azienda si basa su:

  1. tue competenze;
  2. team;
  3. cassa.

Ora, avendo bisogno di fatturato nella tua testa e non essendo un esperto di marketing, non crei una campagna di acquisizione clienti estremamente focalizzata e ti ritrovi clienti che escono dai tuoi tre parametri.

Cioè magari prendi un lavoro per il quale non hai realmente tutte le competenze necessarie, che non si trovano né nel tuo repertorio né in quello del tuo team. Ma devi mangiare e dici al cliente: “Sì certo, non si preoccupi, glielo facciamo certamente e nei tempi previsti… per noi è un gioco da ragazzi!”.

Solo che poi durante la realizzazione ti scontri con la realtà dei fatti e vai in difficoltà. Le soluzioni possibili quindi sono:

  1. paghi gente esterna per completare le cose che non sapete fare;
  2. te ne freghi e accrocchi un lavoro alla bell’e meglio;
  3. fai internamente ricercando le soluzioni ma allungando ovviamente i tempi.

In ognuno di questi casi, se ancora tu non ci fossi arrivato, i tuoi piani imprenditoriali saltano. Perché le conseguenze inevitabili di queste strade sono comunque in ordine casuale:

  • clienti incazzati perché la roba arriva in ritardo;
  • clienti incazzati perché il prodotto o servizio è sotto le aspettative e con problemi.

Nel caso tu abbia dovuto prendere altre persone, ovviamente i tuoi margini sono diminuiti, se non addirittura azzerati, se non addirittura non lo sai ma hai eseguito una commessa in perdita.

Ecco, ogni volta che per generare “fatturato” servi o prendi un cliente che si trova fuori dai tre cerchi:

  1. competenze;
  2. team;
  3. cassa;

stai sviluppando il cancro che porterà alla morte quasi inevitabile della tua azienda.

E questo è il motivo per il quale se ti chiedo: “Mi dici il margine di contribuzione dei tuoi prodotti o servizi?” in realtà tu non lo sai.

Non lo sai perché facendo marketing a cavolo o non facendolo proprio, prenderai clienti fuori focus con l’ansia di produrre fatturato, che magari produrrai anche ma senza poter sapere esattamente il margine di contribuzione di ciò che stai erogando.

Quindi non potrai mai programmare niente come imprenditore.

Se pensi scioccamente che acquisire nuovi clienti non sia compito tuo ma ti affidi “alla web agency” che ti fa “le campagne Feisbù e Gugòl”, il meglio che quei poveri cristiani possano fare, supponendo che siano capaci tecnicamente, è portarti richieste generiche di contatto o preventivo di clienti fuori dal tuo cerchio di influenza e controllo diretto.

Non è colpa loro. È che se tu non fai prima il tuo dovere di imprenditore, cioè l’esperto di marketing attraverso i numeri, non puoi delegare una campagna acquisizione clienti perché nella media sarà poco precisa, fuori fuoco e si trasformerà in un disastro.

Abbiamo detto che senza focus rigido su prodotti e tipologia di clienti non sei in grado di calcolare il margine di contribuzione di ciò che vendi, soprattutto se parliamo di beni o servizi intangibili.

Pensa al classico gestionale che la software house ti promette di consegnarti in 3 mesi e poi si rendono conto che dopo un anno ancora non hanno tolto la testa dal culo (mi è successo come cliente più volte, so di cosa parlo, tranquillo).

Oltre a far incazzare i clienti, ti trovi in ogni caso con pagamenti che slittano se ti va bene (e quindi il tuo previsionale di cassa salta e devi sperare che la banca ti copra con affidamenti vari perché gli stipendi, i materiali, l’affitto ecc. li devi comunque pagare), oppure commesse che saltano integralmente, insoluti ecc.

Ma anche dovesse andare tutto bene, il cliente non si incazza più di tanto e comunque man mano paga, avrai comunque danneggiato l’indice di rotazione del capitale. Cioè guadagni molto più “lentamente” rispetto a come dovresti guadagnare, perché i tempi di installazione, consegna ecc. si allungano e il tempo è l’unica cosa che non puoi comprare.

Tutto questo dove ci porta?

Il marketing malato genera fatturato malato che uccide l’azienda

Ci porta al motivo per il quale il 96% delle aziende fallisce entro i primi 10 anni e il 95% dei sopravvissuti non supera mai i 2 milioni di euro di fatturato.

Il motivo è semplice: se fatturi ma porti in casa un fatturato malato (tumore) che non produce profitti e cassa disponibile, l’azienda arriva a un momento nel quale si inchioda.

Non va più avanti né indietro perché a prescindere da quanto fatturi hai bisogno in realtà di cassa.

All’inizio magari ci metti i risparmi o chiedi una mano a genitori/amici e parenti. Ma non bastano per molto.

Allora vai in banca e ti fai dare un pelo di affidamento, anticipi fatture, ecc. Ma anche questa cifra non basta per molto.

Allora torni in banca e ipotechi la casa e se non la tua quella dei tuoi genitori e ti fai dare un altro po’ di cassa. Ma anche quella finisce.

Quando hai finito nell’ordine:

  • risparmi tuoi e dei tuoi parenti;
  • affidamenti senza garanzia;
  • affidamenti con garanzie varie (subordine di ipoteche, acquisto di azioni/obbligazioni bancarie);

hai finito la birra. E non hai risolto per nulla il problema. Che è sempre il fatto che non essendo tu un esperto di marketing che guida l’azienda leggendo i numeri, non sai produrre profitti e cassa per la tua azienda.

Sai solo buttare dentro fatturato, quasi sempre malato, che ti prosciuga la cassa operativa più velocemente di quanto un’Alfa scarburata bruci benzina.

Poi non capendo quello che succede ti affidi al cashflow finanziario appoggiandoti alla banca, che continui a usare per tamponare gli errori di marketing commessi.

Poi per ultimo usi il cashflow da (dis)investimento. Sì perché devi sapere che quando la banca ti “presta” soldi in maniera subordinata a una garanzia, in pratica non ti sta “prestando” un bel niente ma ti sta solo rigirando i tuoi soldi.

Detto in maniera semplice, la “garanzia” che hai fatto mettere a babbo per la tua azienda, ha un nome meno gradevole giuridicamente che risponde a “ipoteca”.

Andando ancora più terra terra significa che visto che col marketing sei una chiavica, tuo padre si è letteralmente venduto la casa alla banca per mantenere aperta la tua azienda. La casa ora è legalmente della banca che concede a tuo padre di rimanerci dentro finché tu le restituirai i soldi che le devi.

Il giorno che capita qualche imprevisto alla tua azienda, da sempre appesa a un filo con la cassa per le manovre scellerate con le quali produci fatturato malato, la banca:

  • prima ti fa saltare;
  • poi va da tuo padre;
  • gli prende la casa;
  • la mette all’asta;
  • lo sbatte in mezzo a una strada.

E questo è lo scenario migliore tra i tanti che possono capitare.

L’unico modo che hai per fare impresa oggi e per acquisire clienti in maniera sana è quella di trasformarti il più velocemente possibile da tecnico esperto del prodotto a imprenditore esperto di marketing.

In azienda, devi essere colui che è in grado di generare e far generare clienti target. Clienti target da soddisfare nei modi e nei tempi in modo da poter generare profitti prevedibili che in maniera altrettanto prevedibile si trasformino in cassa libera e disponibile.

Cassa che userai per ampliare la tua azienda, assumere sempre più persone e sempre più qualificate, aumentare le tue competenze e quelle aziendali e investire in prodotti, ricerca e sviluppo, sede, macchinari ecc.

Se vuoi portare la tua attività fuori dalla palude o vuoi iniziare con il piede giusto, la tua autostrada per la ricchezza ti deve portare a Lubiana, dove io e Dan Kennedy ti trasformeremo in un Cavaliere Jedi capace di compiere imprese che anche dai più scettici inizialmente intorno a te, verranno considerate come vere e proprie magie.

Sarà lì dove ti insegnerò tutto quello che ho appreso nel corso degli anni su come focalizzare la tua azienda senza possibilità di errore e generare campagne di marketing che producano profitti e cassa per:

  • poterti sbloccare in primis,
  • evitare di ricadere nelle sabbie mobili per secondo e
  • non da ultimo continuare a crescere per sempre senza imprevisti.

Ci vediamo al Tempio dei Jedi per completare il tuo addestramento come Cavaliere Jedi del Marketing, mio giovane apprendista imprenditore.

Che la forza sia con te.

 

 

 

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8 comment

  1. VIVIANA
    • Frank Merenda
  2. emanuele
    • Frank Merenda
    • Frank Merenda
  3. Emanuele
    • Frank Merenda